Probabilmente al primo impatto questa mostra sembrerà disorientante. Ci sono vecchie fotografie in bianco e nero e illustrazioni coloratissime, storie vere e fiabe, bambini realmente esistiti e bambini inventati, la realtà e la fantasia.
Ma non è disordinata. Ciò che la mostra vuol far rivivere, legate tra di loro, sono le storie e le fantasie dei bambini di «una volta», dei bambini e dei ragazzi vissuti sulle nostre montagne cinquanta, sessanta, settanta, ottanta e più anni fa in un periodo lontano quando la vita era più difficile e molto più povera.
Il percorso espositivo attraversa le varie fasi della vita infantile, dalla nascita (quando davvero i neonati sono “appesi ad un filo”) alla soglia precocissima della prima giovinezza, nonché le diverse situazioni di vita, dalla famiglia, alla scuola, alla chiesa, dove i bambini si formano, assumono comportamenti, regole, saperi.
L’infanzia vera e propria durava pochi anni. Appena si affrancavano dalla totale dipendenza della madre, i bambini in grado di muoversi autonomamente (ancor prima dei sei/sette anni), venivano pian piano inseriti nelle attività domestiche e lavorative.
E proprio al lavoro dei bambini si presta qui, in questa mostra, particolare attenzione perché nell’economia di autoconsumo contadino, ognuno doveva fare la sua parte.
Le bambine aiutavano in casa, lavavano i panni e stiravano, cucinavano e cucivano. Ma pure lavoravano nella stalla e, se necessario, anche nei campi accanto ai fratelli.
Ai bambini, maschi o femmine, veniva per lo più affidato, da portare al pascolo, il bestiame di piccolo taglio, pecore, capre o vitelli. Portare le bestie al pascolo rappresentava, secondo le testimonianze, un’esperienza vissuta spesso in modo drammatico per l’allontanamento da casa e per la completa solitudine in cui si trascorrevano intere giornate a contatto con una natura vissuta come nemica. Terminato l’anno scolastico, i maschi delle ultime classi venivano spesso impiegati in malga, su in montagna, come custodi del bestiame o come piccoli garzoni al comando di uomini spesso impazienti.
Il punto di vista con cui si guarda all’infanzia dei piccoli montanari è quello autobiografico: le testimonianze scritte ed orali, i diari, le scritture scolastiche danno senso e colore ad una condizione altrimenti nota.
A questo percorso del tutto realistico si interseca, come si diceva, un secondo itinerario che apre lo sguardo sull’immaginario dei bambini e dei ragazzi: innanzitutto sul repertorio tradizionale, folklorico, fatto di storie, di fiabe, di leggende, di filastrocche, di conte, che veniva loro trasmesso in casa o sulla strada, ad opera dei familiari o dei compagni di gioco. Affiancato da un secondo repertorio che proveniva dai libri di scuola, dal catechismo, dalle pratiche devozionali. Scuola e chiesa portavano i bambini fuori dai limitati orizzonti della piccola comunità di paese, li mettevano a contatto con i libri, li introducevano nella cultura scritta.
Tutti insieme, racconti fantastici e storie di vita, fotografie ed illustrazioni, oggetti e disegni ricostruiscono un mondo contadino e montanaro che ora non esiste più, se non nella memoria delle donne e degli uomini più anziani. A loro e ai bambini di oggi è dedicata questa mostra.
Mostra ideata e curata daQuinto Antonelli
AllestimentoCristina Zorzi
Mostra temporanea realizzata dall’Ente Parco Paneveggio Pale di San Martino e dalla Fondazione Museo storico del Trentino.